Montagne russe

Roberto Beccantini29 novembre 2023

Petardi di Champions. Precedenza a Madrid, noblesse oblige. Il Real era decimato, il Napoli no. Eppure: 4-2. Questo è il Bernabeu, questa la differenza. Un’amichevole di lusso, illuminata dal genio di Bellingham. I gol volano come coriandoli di carnevale: subito Simeone (da cross di Kvara e sponda di Di Lorenzo); Rodrygo di saetta (su azione di Brahim Diaz, vice del vice); Bellingham di testa, su pennellata di Alaba e dormita di Natan. Nella ripresa, «telefonata» di Nico Paz alla quale Meret, bravissimo poco prima su Rudiger, risponde male; poi l’ingordo Joselu, imbeccato da un esterno destro di Jude in caduta che bé, insomma, ecco, ci siamo capiti.

Mazzarri ha giocato alla Mazzarri: un po’ di soste ai box, un po’ di sgommate. Osimhen è entrato al 46’. Da Kvara, più baci che dribbling: almeno stavolta. Il migliore, Anguissa: che «scardabagno», il suo gol. Gli innesti di Ancelotti, già: Nico Paz, classe 2004, e Joselu: un Pacione sin quasi alla fine. Decisivo l’errore di Meret, così come – sabato a Bergamo – lo erano stati i piedi di Carnesecchi. Gli episodi, gli episodi. Uffa.

** Benfica-Inter 3-3. Tripletta di Joao Mario, ex di turno, in 34’. Per un tempo, Inter allo sbando: gli otto cambi di Inzaghi, l’orgoglio degli avversari, i resti di Di Maria: tutto quello che vi pare. Non uno che vincesse un contrasto, non uno che avesse un’idea. Nel secondo, scortata da manciate graduali di innesti, la riscossa: Arnautovic, Frattesi, rigorino propiziato da Thuram e trasformato da Sanchez, rosso «varista» ad Antonio Silva, palo di Barella. Insomma: da un quasi disastro a un quasi trionfo. Può essere che gli ottavi in tasca abbiano condizionato l’approccio. Boh. Spiegare il calcio risulta spesso inspiegabile. E allora hanno ragione tutti: evviva.

Gruviera e champagne

Roberto Beccantini28 novembre 2023

Gruviera e champagne. Milan quasi fuori, Lazio agli ottavi. C’est la Champions. A San Siro, sotto la zazzera rossa di Sinner, un povero Diavolo, povero di giocatori e di gioco, si arrende al calcio libero e semplice del Borussia Dortmund: 1-3. Un Milan che Pioli non riesce a scuotere, tradito com’è dai califfi. In ordine: Giroud. Si fa parare da Kobel il rigore-lampo del possibile 1-0 (mani-comio di Schlotter-beck) e scompare, letteralmente. Theo Hernandez: lui, ecco, non compare mai. Maignan: sul tiro di Adeyemi, il tiro della sentenza, non proprio il massimo della reattività.

Da penalty a penalty, questi impostori: non sbaglia, Reus (pedatina di Calabria, un disastro). Le bollicine e i dribbling di Chukwueze propiziano la riscossa del pari. Ma Pulisic là dove c’era l’erba di Leao non è la stessa cosa. Non poteva giungere da Adli, Loftus-Cheek (il più grigio), Reijnders la svolta, anche se magari qualcuno ci contava. Sull’1-1 si è infortunato persino Thiaw (il ventiseiesimo della lista, a quando una commissione d’inchiesta?): con Krunic stopper d’emergenza la difesa, barcollante a ogni contropiede e tenuta su di peso da Tomori, ha ceduto di schianto. Splendida l’azione che ha stappato il raddoppio di Jamie Bynoe Gittens, già protagonista del rigore: classe 2004, come Chaka Traoré, entrato agli sgoccioli. Fate un po’ voi. Per la cronaca, ma solo per quella, palo di Jovic e traversa di Fullkrug. Della squadra di Terzic mi ha impressionato Hummels (34 anni) e mi è piaciuto Emre Can.

** Lazio-Celtic 2-0. La doppietta di Immobile, panchinaro doc, agiterà il solito, barboso tormentone: ha azzeccato i cambi, Sarri, o sbagliato gli «starting eleven»? Sto con il risultato. Ciro: segna solo lui, ormai. In entrambi i casi, su iniziative di Isaksen, medaglia d’argento dopo l’oro del capitano. Non una Lazio in smoking, ma nemmeno in bermuda come a Salerno. Di lotta, a caccia della polpa.
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Tutti contenti: forse

Roberto Beccantini26 novembre 2023

Quando i più deboli bloccano i più forti, hanno diritto a piccoli sconti d’estetica, a simboliche detrazioni sui Social. Ci mancherebbe. Non ricordo un derby d’Italia così grigio, così sterile. E così cavalleresco. Per 75’, almeno: sino all’ingresso di Cuadrado (fischiatissimo: perché?). E mai, comunque, oltre i confini dell’isteria. Quasi un armistizio, dunque. Lo hanno sancito due bei gol. L’1-0 di Vlahovic, di destro, su assist di Chiesa. L’1-1 di Lau-Toro, in anticipo secco su Gatti, da una volatona di Thuram. Tu chiamalo, se vuoi, contropiede. Alla squadra del Feticista del corto muso, ebbene sì. Il destino, a volte, si diverte più di noi.

Juventus-Inter: tutto, per una volta, tranne che una polveriera. Pochi tiri, rare occasioni. Una di Chiesa, ciccata all’inzio. Szczesny e Sommer hanno spazzolato briciole. Si sono rivisti pezzi di Vlahovic: nel tiro, nelle sponde. E Church, da libero d’attacco, un po’ qua e un po’ là, ha cercato di monetizzare la penuria di munizioni. Un’ora di Nicolussi Caviglia, un passerotto, là dove di solito osano le aquile. Poi Locatelli. Quando ormai il dado era tratto.

L’Inter. Si è spesa, sì, ma senza esagerare. Anche perché, allo Stadium, Madama fa ancora paura. L’intento di Inzaghino era quello di adescare le sentinelle di Allegri. Ci è riuscito sulla rete del pari, lì e stop. Figuriamoci. Non uno che, da Barella a Calhanoglu, abbia toccato picchi clamorosi. Bene la Maginot, bene, per un tempo, Thuram (al 6° assist) e Lau-Toro (alla 13a. rete).

La Juventus. All’inizio, mordi e fuggi. Alla lunga, tutti sulla riva del fiume, a presidiarla. Non ha coppe, ma non sempre lo dimostra. Avrebbe dovuto osare di più Simone? Avrebbe potuto di più Max? Le aveva vinte tutte, in trasferta, l’Inter. I tabellini si rispettano.